condotto dal Dott. Pietro Cardile – Analista transazionale certificato CTAp
Master of Arts in Gender, Society and Culture-University of London
Personale racconto di una giornata speciale di Ilaria Londi
Genesi 1,26-28, Creazione dell’uomo e della donna
26 Poi Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27 Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina. 28 Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra»

Su questo si fonda la rigida dicotomia di quello che comunemente si chiama “genere”. Durante questo seminario con il dott. Pietro Cardile abbiamo osservato, discusso e commentato la storia del genere, dei sui significati biologici, filosofici, spirituali e psicologici. Quest’ultimi sono stati approfonditi anche grazie a lavori esperienziali in cui tutto il gruppo di partecipanti si è messo alla prova. Il gruppo era formato da psicoterapeuti e psicologi, impegnati in diverse declinazioni della professione di aiuto. Le aspettative erano molte e legate anche al conduttore, persona di grande esperienza, che si è formata nel Regno Unito sui temi in oggetto.Eravamo in cerchio, la luce filtrava dai lucernari e illuminava il volto di Pietro come una leggera carezza di pulviscolo, eravamo in un luogo magico e sospeso nel tempo, un borghetto di vecchie case ristrutturate vicino a casa dei miei genitori, al mio luogo di origine, al luogo dove sono nata e cresciuta, dove si è dispiegata la mia esperienza di essere “femmina”. Rifletto che sono diventata “donna” lontano da lì, perchè ad un certo punto, ho sentito che proprio quei luoghi mi avrebbero ostacolato in questo sviluppo radicale e profondo. Non volevo essere una “donna di paese”, accezione stridula e giudicante, ma di cui sono stata vittima incompassionevole per anni. Io volevo essere diversa, volevo essere autonoma, indipendente, colta e poco incline alla dipendenza dagli uomini; a Bagnolo di Montemurlo questo non lo vedevo possibile, la pressione a rinunciare a tutta la mia apertura mi sembrava asfissiante, le donne mi sembravano asfissianti e allora presi un treno, un’iscrizione universitaria regalata da mio padre (mai gesto fu più sublime e confermò erroneamente che gli uomini mi capivano più dalle donne) e partii per Padova.
Con questi pensieri ho cominciato il lavoro del seminario. Intanto siamo tutti d’accordo che le definizioni dell’identità che nel corso dei secoli si sono susseguite, in realtà bloccano l’osservazione reale dell’identità, persino dell’identità di genere considerata esclusivamente un discorso biologico. Addentrandoci sui significati delle parole, perchè le traduzioni a volte sono tradimenti, abbiamo cercato di trovare un significato comune alle parole “status” e “genere” Lo status è la percezione di una persona al suo diritto di esistere, il genere è una delle prime attribuzioni di status.
Gli studi sul genere non possono essere decontestualizzati dal tempo e dai luoghi, fisici e mentali, che li hanno originati. Si sviluppano dal medioevo dove la teorizzazione della scienza è la teologia, si dispiegano nell’età moderna, con caratteri fortemente razionali dovuti alla rigida percezione illuminista che tutto possa essere “capito” e spiegato con l’uso del ragionamento razionale, e si espendono nel post modernismo, dove si guarda alla definizione del soggetto come decontestualizzata.
Gli studi sul genere vengono fortemente influenzati da tre grandi correnti intese come filosofiche: il capitalismo, il marxismo e la psicanalisi. Lungo l’arco di anni in cui si susseguono e si alternano tali sfondi avvengono le guerre mondiali e l’età nuclerare, con protagonisti fenomeni come i movimenti femministi, le rivoluzioni sudamericane, i movimenti pacificsti, la teologia della liberazione, i movimenti contro l’apartheid, non sempre di natura “non violenta” alla Gandhi maniera (pensiamo a Malcom X). Arriva la guerra fredda e il blocco sovietico contro il blocco occidentale. Lo status diviene non solo l’articolazione del genere, ma la definizione di “noi contro loro”. Il dibattito è acceso e prospero nei luoghi universitari: le tre grandi università di Berkley, Chicago e Harward sono i luoghi in cui si origina e si costruiscono i saperi, dove si sperimentano le idee, ma si ha ancora la reale percezione che il mondo delle “persone” sia lontano.
Le persone sono appunto in luoghi come Montemurlo, le persone sono nei campi o nelle fabbriche, le persone indossano divise che “fanno differenza” in base alla loro attribuzione di status, la comunicazione è frammentata e lenta, gli uomini e le donne continuano ad esistere in quanto ruoli nella società, non per le loro esperienze nel e con il corpo. Il corpo è ancora lontano da essere un “corpo abitato” e anche attualmente facciamo fatica a sentire davvero nel corpo il nostro genere, non per un problema psicopatologico, ma perchè abbiamo affidato completamente la definizione di quest’ultimo a categorie preordinate “dette stereotipi di genere”, discussi, criticati, combattuti, ma attualmente ancora vigenti. Il blu ai maschi, il rosa alle femmine, lo smalto alle femmine, i soldatini ai maschi, il pianto alle femmine, la dura resistenza anaffettiva ai maschi: “Denim per l’uomo che non deve chiedere mai”.
Pietro parla, racconta, spiega, stimola il dibattito sempre più avvincente tra noi uditori, cita “Frammmenti di un discorso amoroso” di Ronald Barthes (Cherbourg, 12 novembre 1915 – Parigi, 26 marzo 1980), saggio molto famoso del 1977, al quale ancora si fa riferimento in quanto innovatore e precursore di un linguaggio nuovo per descrivere l’amore, non la coppia uomo-donna. Il genere sessuoale indietreggia di fronte al sentimento e c’è bisogno di un nuovo linguaggio che lo descriva: “Su questo Barthes è molto chiaro: l’amore si manifesta soprattutto attraverso il linguaggio, per questo la caratteristica principale dell’innamorato è quella di parlare di continuo del sentimento che prova. L’innamorato è ossessionato dal tentativo di spiegare agli altri – attraverso le parole – perché, tra tutti i milioni di corpi incontrati, “di questi milioni io posso desiderarne delle centinaia; ma di queste centinaia, io ne amo solo uno” racconta un’analisi fruibile del testo sulla rivista letteraria “Il Libraio.it”.
Ascolto estasiata, il sapere mi lusinga, il sapere mi accarezza e mi faccio accompagnare per mano nell’analisi dei miti che hanno descritto il genere: il mito non è una storia, è un processo volto a spiegare come il mondo stesso e le creature viventi abbiano raggiunto la loro forma presente, in certo contesto culturale o in un popolo specifico. Guardo i miei colleghi, infreddoliti, in una stanza troppo grande per essere riscaldata, ma con occhi vivi, attenti, brillanti.
Pietro ci da una definizione di genere, e riporto i miei appunti senza alcuna velleità di attribuire le parole al conduttore, ogni errore o concetto in cui non si ritroverebbe è totalmente una mia responsabilità, li non ha alcuna colpa per le mie sintesi: “Il genere è un metasistema binario narrativo e normativo che si articola a livello inconscio, sociale (cha arriva all’individuo), a livello simbolico, psicologico, relazionale, estetico e politico e si definisce culturalmente e storicamente.
Il genere è connotativo, performativo, prescrittivo, citazionale. La citazionalità rimanda come in un sistema di specchi, crea una riproduzione acritica di quanto vede. Il genere regala la definizione/percezione dell’identità del soggetto e l’attribuzione alla persona di qualità, caratteristiche, ruoli, attribuzioni e status a seconda del sesso biologico. Il genere non appartiene alla persona, ma viene assegnato alla nascita o anche prima, ed è dissciplinato da norme e leggi. Tutto questo viene vissuto dall’individuo e dalla società come categoria.
Il rapporto tra sesso biologico e genere è simile a quello tra corpo e mente”.
Dopo una mattina immersa nella speculazione storico, filosofica e letteraria, abbiamo pranzato, uomini e donne, insieme con la bocca, le mani e la fame, tutti d’accordo nell’essere umani. Io non riuscivo a rinunciare a nessuna delle solliticazioni che avevo avuto nella prima parte del seminario. Pensavo agli aspetti che potevo portare in psicoterapia, al mio essere una psicoterapeuta donna, al suo significato, esperito dolorosamente con una caduta recente, di cui a volte nel mio lavoro vedo i segni. Avevo la testa piena, ma il cuore di più, che dire sono fatta così e mi piaccio. Amo la saggezza e la preparazione, lo studio e il rigore intellettuale, amo le relazioni, i sorrisi e la gentilezza tra persone, amo la voglia di confrontarsi e mettersi in gioco, amo l’umiltà e in quella stanza bellissima e fredda, c’era tutto quello che mi serviva.
Quando ti sei sentito davvero che eri una femmina o un maschio? Quando a scuola mi misero un grembiule bianco, per fortuna con pochi fronzoli, (mia madre era donna pratica), e mi dissero in classe siete 15 femmine e 13 maschi. Quando, prima di entrare in piscina io e la mamma andavamo a destra “spogliatoio donne”. Quando con un braccio rotto a 11 anni, ricoverata in ospedale , un medico ortopedico cercava in ogni camera una certa “Ilaria”; ripetutamente entrò nella mia stanza, ma io vedevo lui e lui non vedeva me, perchè avevo i capelli troppo corti per essere quella bimba che lui cercava. (L’ho già detto che mia madre era una pratica e la mia inspiegabile passione per il nuoto non permetteva troppe chiome al vento, c’era in casa mia un’inspiegabile convinzione che se avessi voluto nuotare dovevo assomigliare a Rambo).
Mi sono ritrovata un po’ nelle parole di tutti i partecipanti, condividendo i ricordi e i ragionamenti emersi nel rispondere a tale domanda, ma non era finita qua.
C’era ancora un piccolo, ma divertentissimo passo da fare: provare a declinare in gruppo, il gruppo delle donne e quello degli uomini “Cosa pensano le donne degli uomini?” e viceversa “Cosa pensano le donne che gli uomini pensino di loro” e viceversa.
E li non c’era più spazio per il sapere, lì ognuna aveva in mente i propri padri, i propri partner, figli, i propri colleghi, i capi, i vicini, gli amici. Ne abbiamo dette tantissime, elenchi di aggettivi dolci e crudeli, stereotipizzati e creativi. Tutte le nostre esperienze con il genere maschio, maschio che ci vuole femmina, maschio che ci vuole maschio, misogine più degli uomini, dolci con e come loro, divertite e attente a non essere nè troppo clementi nè troppo severe, madri e compagne, professioniste e casalinghe, nei ruoli più disparati, in cucina come a letto mentre si fa all’amore con l’uomo o la donna che si desidera.
Io ero tra le femmine, io ero con le donne. Eravamo vive e morte allo stesso tempo. E se per una volta fossimo davvero x?
